Pupi Avati si racconta al Napoli Film Festival

Pupi Avati ha incontrato il pubblico del Napoli Film Festival accorso nell'auditorium di Castel Sant'Elmo per la sezione “Parole di Cinema”. Prima dell'arrivo del regista, e' stato proiettato “La casa delle finestre che ridono” suo film horror del 1976, realizzato a basso costo, dopo il sequestro per oscenità del ben più dispendioso “Bordella”.

Un Pupi Avati affabulatore e brillante ha raccontato la sua carriera, fatta di lavori di successo ma anche di insuccessi, dei quali riesce pero' a parlare con grande ironia, raccontando gli aneddoti che hanno accompagnato la loro lavorazione. Dopo il fallimento come jazzista a causa di un giovanissimo e troppo talentuoso Lucio Dalla, la fiamma del cinema si accende con “Otto e Mezzo” di Fellini. E' dopo aver visto quel film che comunica agli amici del bar Margherita la sua intenzione di fare il regista. Un'avventura che ancora dura e che lo ha reso uno dei più apprezzati registi italiani.

“Fare cinema da quarantun'anni significa essere sempre coerenti con quel che si e'” dice. Il suo cinema, spiega, rappresenta quello che lui e' nel momento in cui gira un determinato film ed e' per questo che e' con grande imbarazzo che guarda ai suoi lavori del passato, poiche' vi ritrova una persona che era ora non c'e' piu'.
Alla fine dell'incontro Avati ha voluto spiegare cosa rende grande un regista, facendo riferimento al maestro e amico Federico Fellini, un artista che, nonostante la sua fama, aveva sempre bisogno di ricevere l'approvazione del suo pubblico. Perche', spiega Avati, la “sudditanza psicologica” al proprio pubblico e' l'elemento che consente a un regista di crescere sempre.

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