In un piccolo comune, al fine di onorare e mantenere viva la memoria di un giovanissimo eroe dell'Unità d'Italia (delle cui gesta si era sempre parlato in paese, soprattutto attraverso la tradizione orale tramandatasi da padre in figlio), l'amministrazione comunale decide di organizzare una solenne cerimonia, con tanto di invitati e buffet, che sarebbe poi culminata con la svelatura di un mezzobusto marmoreo e l'intitolazione di un Istituto scolastico.
Senonché, per la data prestabilita, viene invitato a presenziare al cerimoniale l’unico erede ancora vivente: l’ormai anziano Francesco Bagalà, un insegnante di filosofia, da qualche anno in pensione. Questi, una volta giunto sul posto, a bordo della sua vecchia berlina, si avvia verso l'Istituto, portando con sé un diario di famiglia, piuttosto ingiallito dal tempo.
Una sorta di cimelio, in pratica, che dice di aver trovato casualmente in un ripostiglio della sua abitazione, qualche giorno prima, e che intende consegnare agli organizzatori dell'evento, affinché ne tenessero cura. Grazie a questo diario, però, nel momento più bello ed emozionante della manifestazione celebrativa, si scopre che l’eroe non era garibaldino ma borbonico, e scoppia un autentico putiferio. Il confine tra realtà e fantasia, a questo punto, si fa sempre più labile.